I farmaci cannabinoidi stanno aiutando molti pazienti anziani ad affrontare dolore cronico, insonnia e altri disturbi con buoni risultati, in modo sicuro e ben tollerato. Nonostante questo, sussiste ancora qualche pregiudizio sul quale vogliamo fare chiarezza, anche per incoraggiare sempre più il dialogo tra pazienti (o caregiver) e medico.
Cosa sono THC e CBD? Differenze in breve
Delle centinaia di principi attivi della cannabis, i più chiacchierati sono sempre CBD e THC. Entrambi hanno proprietà terapeutiche importanti, ma differenti.
- THC: aiuta ad alleviare il dolore, combatte la nausea e stimola l’appetito; ha anche un effetto rilassante sui muscoli e favorisce il sonno. È un principio attivo psicoattivo, quindi può causare effetti indesiderati come sonnolenza, capogiri, aumento del battito cardiaco, agitazione o confusione – soprattutto se la dose è troppo alta.
- CBD: ha effetti antinfiammatori e rilassanti, può ridurre dolore e ansia, ed è studiato per il suo potenziale benefico in molte condizioni (ad esempio contro le crisi epilettiche). Importante per i pazienti anziani, il CBD non provoca effetti psicoattivi; anzi, tende a mitigare alcuni effetti psicoattivi del THC. In genere è ben tollerato e ha pochi effetti collaterali (occasionalmente può dare lieve agitazione o insonnia, ma sono casi rari).
Molti farmaci a base di cannabis combinano THC e CBD in varie proporzioni. Il CBD spesso viene usato per “bilanciare” il THC, sfruttando l’azione sinergica, quello che in gergo viene chiamato effetto entourage. Capire la differenza tra queste due sostanze aiuta a usare la cannabis terapeutica in modo consapevole: il THC offre gran parte del potenziale di sollievo dal dolore e altri sintomi, ma va dosato da un medico specialista; quest’ultimo potrebbe prescrivere un prodotto contenente più CBD e meno THC soprattutto all’inizio, proprio per massimizzare i benefici minimizzando gli effetti psicotropi.
Perché serve un’attenzione maggiore per gli anziani
L’uso della cannabis terapeutica è sicuro anche per gli anziani, ma richiede maggior cautela rispetto ai pazienti più giovani. Con l’età, il corpo cambia, il metabolismo rallenta e spesso si assumono più farmaci, rendendo le persone over 65 più sensibili agli effetti del THC e del CBD. In particolare, il THC può causare capogiri, cali di pressione e alterazioni dell’equilibrio, aumentando il rischio di cadute. Può anche accentuare sonnolenza, confusione e rallentamento dei riflessi. Per questo, è importante iniziare con prudenza e lasciare al corpo il tempo di adattarsi. La buona notizia è che questi rischi possono essere minimizzati seguendo alcuni accorgimenti e partendo con dosaggi molto bassi.
Bisogna anche considerare le interazioni con altri farmaci. Spesso gli anziani seguono terapie con più medicinali (politerapia); l’età può ridurre la funzionalità di fegato e reni, rendendo più lenta l’eliminazione dei farmaci dal corpo. Ciò significa che cannabis e farmaci possono rimanere in circolo più a lungo e influenzarsi a vicenda, aumentando il rischio di effetti indesiderati. In generale non sono note interazioni gravi e irreversibili tra cannabinoidi e altri farmaci, ma la cannabis può potenziare o modulare l’effetto di molti medicinali comuni. Ad esempio, il THC e il CBD possono aumentare la sonnolenza se assunti insieme a sedativi (come benzodiazepine o ansiolitici) o amplificare l’abbassamento di pressione se combinati con farmaci antipertensivi. È quindi fondamentale che il medico sia al corrente di tutte le terapie in corso, così da evitare combinazioni sconsigliabili e aggiustare i dosaggi se necessario.
Consulto Medico e monitoraggio
Il successo di una terapia con cannabinoidi dipende, prima di tutto, dall’aderenza terapeutica al piano elaborato dallo specialista, che adatterà il dosaggio in base alla risposta del paziente. È fondamentale riferire sia i benefici che gli eventuali effetti collaterali per permettere al medico di valutare e, se necessario, modificare la terapia. La cannabis è sicura, ma va usata con attenzione, soprattutto in presenza di patologie gravi come disturbi cardiaci o psichiatrici. In questi casi, solo un medico esperto può decidere come procedere, coinvolgendo altri specialisti se serve.
Infine, non bisogna dimenticare l’importanza del supporto del caregiver e della famiglia nel monitoraggio. Spesso un caregiver attento può notare piccoli cambiamenti (miglioramenti o peggioramenti) che il paziente sottovaluta. Condividete con chi vi assiste le informazioni sulla terapia: quali orari, quali possibili effetti cercare, quando allertare il medico.
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