Il Ministero dei Trasporti annuncia un tavolo interministeriale per superare le contraddizioni normative emerse con la riforma del Codice della Strada, in vigore dal dicembre 2024. In particolare, la modifica dell’art. 187 ha introdotto norme più severe sulla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
Il punto critico è che la legge punisce chi guida dopo aver assunto qualsiasi sostanza stupefacente, senza distinguere tra uso ricreativo o terapeutico. In pratica è sufficiente risultare positivi a un test tossicologico per incorrere in pesanti sanzioni amministrative e penali, come la sospensione della patente (fino a due anni), multe salate e perfino l’arresto fino a un anno. Questo approccio “tolleranza zero” è stato giustificato dal governo con la difficoltà di accertare sul momento lo stato di alterazione psicofisica del conducente; per essere puniti basta quindi la positività al test, senza necessità di provare un’effettiva guida in stato d’alterazione.
Tale impostazione ha però generato un paradosso normativo: chi assume cannabinoidi a scopo medico su prescrizione rischia le stesse sanzioni di chi ne abusa per diletto. In altre parole, il nuovo Codice di fatto impedirebbe ai pazienti che assumono farmaci stupefacenti di guidare. Numerose associazioni di pazienti hanno denunciato che, allo stato attuale, per chi segue terapie con cannabis medica non esiste alternativa: o interrompere le cure prescritte dal medico, oppure rinunciare a guidare il proprio veicolo. Le tracce di THC, principio attivo della cannabis, possono infatti persistere nell’organismo per giorni (fino a 72 ore o più), ben oltre la durata di qualsiasi effetto psicotropo. Ciò significa che molti malati – ad esempio pazienti oncologici, persone con sclerosi multipla o dolore cronico che assumono cannabis quotidianamente – finiscono per mettersi al volante costantemente con l’ansia di risultare positivi e vedersi ritirare la patente, pur guidando in stato lucido e perfettamente in sé.
Le iniziali rassicurazioni politiche non sono bastate a fugare l’incertezza. Lo stesso Salvini, incalzato dalle polemiche, aveva dichiarato che “le forze dell’ordine avrebbero valutato caso per caso” la posizione dei pazienti in terapia. Tuttavia, tale affermazione è apparsa subito poco concreta: nessuna norma vigente consente agli agenti di trattare diversamente chi assume stupefacenti a scopo terapeutico, e un certificato medico – pur utile da esibire – non garantisce alcuna esenzione dalle conseguenze legali in caso di positività ai controlli. Una circolare interpretativa emanata ad aprile 2025 dal Ministero dell’Interno, che chiedeva di accertare la vicinanza temporale tra assunzione della sostanza e guida, ha aggiunto ulteriore confusione senza risolvere il problema: pur eliminando il test delle urine a favore di altri accertamenti, resta il fatto che il THC è rilevabile anche nel sangue e nella saliva per più giorni, continuando a esporre i pazienti al rischio sanzionatorio.
Il tavolo tecnico ministeriale: annuncio e obiettivi
Di fronte alle contraddizioni e alle proteste sollevate, il Ministero dei Trasporti (MIT) ha scelto finalmente di intervenire. Con un comunicato ufficiale, il dicastero ha annunciato l’istituzione di un tavolo tecnico interministeriale (con il coinvolgimento anche del Ministero della Salute) per affrontare la complessa questione. Si tratta, in sostanza, di un gruppo di lavoro incaricato di trovare soluzioni che concilino il diritto alla salute dei pazienti con il diritto alla mobilità e la sicurezza collettiva sulle strade. “Mantenendo intatto l’impianto del nuovo articolo 187, il tavolo tecnico avrà il compito di avviare al più presto un confronto interistituzionale per trovare un equilibrio tra il diritto alla salute, il diritto alla mobilità e l’interesse alla sicurezza stradale”, recita la nota del MIT, aggiungendo che “l’obiettivo è definire soluzioni amministrative che, basandosi sui principi di ragionevolezza e proporzionalità, possano tenere conto delle diverse esigenze”. In altre parole, pur senza rimettere in discussione la norma appena varata, il governo intende valutare correttivi pratici o linee guida applicative che garantiscano maggiore tutela a chi utilizza cannabis terapeutica, senza compromettere la rigidità del sistema sanzionatorio antidroga alla guida.
L’iniziativa di CLINN: tutela legale gratuita
Mentre Governo e Parlamento valutano come correggere il tiro, c’è chi si è già attivato per tutelare i pazienti nell’immediato. Noi di CLINN abbiamo lanciato all’inizio del 2025 un servizio di assistenza legale gratuita dedicato ai propri pazienti in trattamento con cannabis medica. L’iniziativa – realizzata in collaborazione con studi legali esperti in materia (Bulleri e Zaina) – mira a fornire supporto e copertura delle spese legali a chi dovesse incorrere in contestazioni durante i controlli stradali, ad esempio in caso di positività ai cannabinoidi nonostante l’uso terapeutico regolare. “Il servizio, introdotto all’inizio dell’anno, è stato accolto con favore dai pazienti, che hanno potuto proseguire la terapia con maggiore tranquillità”, spiega Salvatore Martorina, direttore operativo di CLINN. Nei primi sei mesi di attività non si è registrato alcun caso critico tra i pazienti aderenti, né si è reso necessario l’intervento degli avvocati partner – segnali incoraggianti che possiamo interpretare come indice di efficacia e di serenità portata dalla misura. “Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti e della serenità che questo servizio sta offrendo ai nostri pazienti”, conclude il direttore operativo.
Una “patente terapeutica” in tasca: per rafforzare ulteriormente la tutela dei nostri pazienti alla guida, abbiamo introdotto la CLINN Card, una tessera di riconoscimento pensata appositamente per chi segue terapie a base di cannabis medica. Sulla card sono riportati la foto del paziente, i suoi dati anagrafici e un codice univoco (con QR code) che consente alle Forze dell’Ordine di collegare immediatamente la prescrizione medica e il farmaco al titolare del trattamento. In caso di controllo stradale, questo strumento rende più rapide le verifiche sulla legalità della terapia, evitando potenziali malintesi sul possesso di cannabis e fornendo una prova istantanea della regolarità del percorso terapeutico seguito.
La CLINN Card testimonia inoltre che il paziente appartiene a un network di medici specializzati abilitati a prescrivere cannabinoidi, aggiungendo un livello di garanzia sul fatto che l’uso della sostanza è monitorato da professionisti e conforme alle normative. [Si può richiedere online qui]
Verso una soluzione condivisa?
Dal punto di vista normativo, l’Italia si trova ora davanti alla sfida di bilanciare due diritti fondamentali: da un lato il diritto alla salute, che include l’accesso alle terapie prescritte (la cannabis medica è legale a fini terapeutici nel nostro Paese dal 2006), e dall’altro il diritto alla sicurezza sulle strade, tutelato con rigore dal nuovo Codice.
Il caso della cannabis terapeutica evidenzia come una normativa pensata per contrastare l’abuso di droghe possa avere effetti collaterali indesiderati su una categoria di cittadini fragili ma in regola con la legge. Le istituzioni hanno riconosciuto il problema e avviato il dialogo tecnico per superare le contraddizioni emerse. Il tavolo interministeriale dovrà ora tradurre le richieste di pazienti, medici e giuristi in misure concrete: c’è chi propone eccezioni mirate o nuove procedure di accertamento, ad esempio certificati speciali o dispositivi in grado di misurare in modo oggettivo l’effettiva alterazione da THC al momento della guida. Qualunque sarà la soluzione, dovrà garantire che chi segue terapie salvavita o palliative non venga ingiustamente penalizzato, senza al contempo indebolire la lotta contro la guida in stato di alterazione.
La partita regolamentare è aperta e molto sentita. Le prossime settimane vedranno il lavoro (finora dietro le quinte) del tavolo tecnico entrare nel vivo, con l’obiettivo di formulare raccomandazioni al legislatore o direttive operative per le forze dell’ordine.
Sullo sfondo resta la pressione costante delle associazioni di pazienti, pronte a far valere le proprie istanze anche nelle aule di tribunale se necessario. Nel frattempo, iniziative come quella di CLINN mostrano come il settore medico e civile stia cercando soluzioni autonome per colmare il vuoto di tutele, in attesa che la politica adegui le norme.
Un adeguamento che, come sottolineano in molti, è urgente per garantire certezze sia a chi guida seguendo una terapia prescritta, sia a chi presidia la sicurezza stradale. La speranza condivisa è che dalle istituzioni arrivi presto un segnale concreto: una sintesi efficace tra esigenze di cura e di sicurezza, affinché nessuno sia più costretto a scegliere tra la propria salute e il diritto di guidare in tranquillità.