Ormai è sotto gli occhi di tutti: quello della cannabis in medicina è un argomento sempre più dibattuto. Eppure, molti medici si sentono ancora poco preparati ad affrontare l’argomento con i pazienti. Un recente studio statunitense pubblicato su Medical Cannabis and Cannabinoids ha evidenziato significative lacune nella formazione dei professionisti sanitari americani riguardo alla cannabis medica. E in Italia, qual è la situazione?
Lo studio americano
Uno scoping review pubblicato di recente ha raccolto dati da 41 studi condotti dal 2013 al 2025 sulle attitudini degli operatori sanitari statunitensi verso la cannabis medica. I risultati delineano un quadro chiaro: la maggior parte dei professionisti si sente inadeguatamente preparata a discutere di cannabis terapeutica con i propri pazienti, segnalando un evidente gap formativo già a partire dall’università.
Le opinioni variano anche in base alla specializzazione: oncologi, palliativisti e medici del dolore mostrano un atteggiamento positivo, mentre pediatri e ginecologi restano diffidenti, soprattutto per l’uso in gravidanza e nell’infanzia. Persistono inoltre pregiudizi in ambiti come la cardiologia e la neurologia. Tuttavia, i medici con maggiore esperienza e quelli che lavorano in Stati dove la cannabis è già legale mostrano maggiore familiarità con il tema.
Il bisogno di formazione continua e ricerca clinica è avvertito come urgente: corsi specifici, aggiornamenti e protocolli standardizzati sono considerati fondamentali per migliorare la qualità dell’assistenza e superare lo stigma ancora associato all’uso terapeutico della cannabis.
La situazione in Italia: medici in cerca di certezze
Guardando a casa nostra, emerge una realtà fatta di luci e ombre. Da un lato, l’Italia è stato uno dei primi Paesi in Europa a riconoscere l’uso medico della cannabis: già dal 2006 i medici, di qualsiasi specializzazione, possono prescrivere preparati magistrali a base di principi attivi della cannabis per scopi terapeutici. Un decreto ministeriale del 2015 ha poi elencato le indicazioni cliniche per cui è consentita e rimborsabile e dal 2016 è attiva la produzione nazionale di cannabis medica (varietà FM-2) presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.
Dall’altro lato, però, la preparazione effettiva dei medici italiani sull’argomento non sembra aver tenuto il passo con la normativa. Sono ancora pochi i medici realmente esperti di cannabis medica, tanto che spesso i pazienti devono rivolgersi a specialisti dedicati per ottenere un piano terapeutico adeguato.
Ostacoli normativi, scientifici e culturali
Quali sono le cause di questa incertezza tra i camici bianchi italiani? Gli ostacoli possono essere di natura diversa.
Per decenni la ricerca sui cannabinoidi è stata frenata da restrizioni legali, sia in Italia sia a livello internazionale. Questo ha prodotto una relativa scarsità di studi clinici robusti per alcune indicazioni, alimentando l’incertezza. Non esistono ancora protocolli unificati emanati dal Ministero della Salute o dalle principali società scientifiche che dettaglino come e quando usare la cannabis medica, lasciando molto del lavoro alla sensibilità e all’esperienza del singolo medico.
Forse, però, la barriera più difficile da superare è quella dei pregiudizi. In Italia persiste una ritrosia culturale verso la cannabis in ambito sanitario: la stragrande maggioranza dei medici tradizionalmente si è avvicinata con estrema cautela - se non diffidenza - a questo farmaco, percepito più come una sostanza d’abuso che come un’opzione terapeutica. Questo atteggiamento conservativo ha di fatto ritardato l’applicazione clinica della cannabis terapeutica per anni, con conseguenze negative per i pazienti che avrebbero potuto beneficiarne. Alcuni medici poco informati arrivano perfino a sconsigliare o rifiutare una terapia cannabinoide anche quando sarebbe adatta, creando il paradosso di negare ai pazienti ciò che la legge consente.
Cosa dicono i dati
Oltre alle evidenze aneddotiche, emergono anche dati sistematici sulla preparazione dei medici italiani. Un importante sondaggio nazionale condotto nel 2021 ha coinvolto oltre 400 oncologi e medici palliativisti italiani, per sondarne conoscenze e atteggiamenti verso la cannabis terapeutica in ambito oncologico. I risultati hanno rivelato lacune conoscitive rilevanti: ad esempio, solo il 14% dei partecipanti era stato in grado di indicare correttamente il riferimento normativo vigente che regola la prescrizione di cannabis medica in Italia. Ciò significa che persino tra i medici più coinvolti nel trattamento dei sintomi (dolore, nausea, ecc.) vi è confusione sulle regole e sulle modalità di accesso a questi farmaci.
Gli autori dello studio italiano del 2021 sottolineano infatti un punto cruciale: esiste un “divario significativo tra atteggiamenti personali, livelli di prescrizione effettivi e conoscenze reali sulla cannabis medica” tra i professionisti. Questa discrepanza porta alla luce un problema da affrontare attraverso la costruzione di programmi educativi mirati e linee guida nazionali che superino approcci personali e forniscano un metodo unificato basato sulle evidenze.
Come colmare il divario di conoscenze
Se c’è un elemento che accomuna l’esperienza americana e quella italiana, è l’importanza cruciale della formazione continua per i professionisti sanitari. Fortunatamente, oggi in Italia esistono risorse dedicate per istruire e aggiornare i camici bianchi su questo tema emergente.
Ad esempio, CLINN Academy+ offre un catalogo di corsi accreditati rivolti a medici e altri operatori sanitari, sviluppati in collaborazione con esperti del settore. Tali corsi permettono di approfondire sia i fondamenti teorici che le applicazioni cliniche nelle varie specialità: dal dolore cronico neuropatico, all’oncologia e cure palliative, fino alle patologie neurologiche o ginecologiche. Un modulo specifico copre anche linee guida, dosaggi e controindicazioni, fornendo ai partecipanti indicazioni pratiche su come integrare la cannabis nelle terapie in modo sicuro e appropriato.
Da sottolineare l’apertura internazionale di queste iniziative: CLINN ha stretto una collaborazione con la Society of Cannabis Clinicians – prestigiosa associazione internazionale di medici esperti in cannabinoidi – per garantire ai professionisti italiani l’accesso a risorse scientifiche e formative di alto livello mondiale. Ciò significa poter attingere all’esperienza accumulata in altri Paesi e ai più recenti risultati della ricerca globale sul tema. Con lo stesso spirito, di recente è stata avviata la collaborazione con Materia Medica Processing - primi produttori in Italia di farmaci a base di Cannabis Terapeutica - che ha scelto proprio CLINN come partner per la formazione scientifica e clinica dei professionisti sanitari: una sinergia che unisce la conoscenza approfondita del prodotto all’esperienza medica sul campo, condizione essenziale per un uso sicuro, efficace e basato sulle evidenze scientifiche.
La formazione continua svolge dunque un duplice ruolo. Da un lato, risponde all’esigenza immediata manifestata da molti medici di colmare le proprie lacune e sentirsi più sicuri nel discutere di cannabis con i pazienti. Dall’altro, contribuisce a creare nel tempo una “cultura” medica della cannabis terapeutica, riducendo stigma e pregiudizi.