La prescrizione della cannabis terapeutica in Italia è regolamentata da normative specifiche e richiede al medico di seguire precise procedure burocratiche e cliniche.
In Italia qualsiasi medico abilitato e iscritto all’Ordine – sia esso medico di medicina generale o medico specialista – può prescrivere la cannabis a uso medico, qualora lo ritenga opportuno in scienza e coscienza. Non vi sono vincoli formali sulla specializzazione del prescrittore per le prescrizioni a carico del paziente (cioè, a pagamento): il medico curante ha libertà prescrittiva, nel rispetto della normativa vigente (Legge 94/98). In altre parole, per la cannabis prescritta in regime privato, ossia non rimborsata dal Servizio Sanitario, non è richiesto uno status particolare – qualunque medico può redigere la ricetta. In caso di prescrizione a carico del SSR, invece, entrano in gioco disposizioni regionali che spesso limitano la prescrizione rimborsabile a determinati medici specialisti e patologie. In questo approfondimento, tuttavia, ci concentreremo sulla prescrizione in regime privato.
La ricetta bianca non ripetibile
Per prescrivere cannabis terapeutica a pagamento, il medico deve utilizzare la cosiddetta ricetta bianca. Si tratta di una ricetta magistrale non ripetibile, da rinnovare volta per volta, in cui il farmaco è a carico del paziente. La cannabis medicinale, infatti, rientra tra le preparazioni galeniche magistrali a base di sostanze stupefacenti: la sua prescrizione segue dunque regole specifiche previste dall’art.5 commi 3 e 4 della Legge 94/1998 (nota come “Legge Di Bella”) e dal Decreto Ministeriale 9/11/2015. In pratica, la ricetta va compilata su carta intestata o ricettario personale del medico, anziché sul ricettario SSN regionale (che, come detto, si usa solo nei casi di erogazione a carico del SSR secondo iter regionali). Inoltre, la ricetta deve essere non ripetibile e non cedibile: ciò significa che può essere utilizzata una sola volta per quella specifica preparazione e paziente, e non può essere usata da altri pazienti.
Elementi obbligatori da inserire in ricetta
La normativa vigente (Legge 94/1998, art.5, e DM 9 novembre 2015) stabilisce con precisione quali informazioni devono comparire sulla ricetta medica per preparazioni a base di cannabis. Il medico, nel redigere la prescrizione magistrale, deve includere i seguenti elementi obbligatori:
- Codice identificativo del paziente: utilizzare un codice numerico o alfanumerico univoco, in luogo di nome, cognome o codice fiscale del paziente. Questo accorgimento tutela la privacy: solo il medico tiene un archivio che collega il codice ai dati anagrafici reali del paziente.
- Varietà di cannabis e titolo di principio attivo: indicare la qualità della sostanza prescritta, ad esempio la specifica varietà di Cannabis con la relativa percentuale di THC e CBD. Ciò identifica in modo chiaro il tipo di infiorescenza o estratto da utilizzare.
- Forma farmaceutica e via di somministrazione: specificare la forma di dosaggio allestita e la modalità di assunzione prevista. Ad esempio, capsule o soluzione oleosa per via orale, preparazione per inalazione tramite vaporizzatore. Questo orienta il farmacista nella corretta preparazione e indica al paziente come assumere il medicinale.
- Dose e posologia: riportare la quantità di cannabis per dose e la posologia giornaliera, preferibilmente espressa in termini di peso di sostanza. In caso di preparazioni in olio o altre forme estrattive, è consigliabile indicare anche il contenuto in mg di THC e/o CBD per dose, in modo da rendere chiaro il dosaggio del principio attivo.
- Esigenze particolari (motivazione clinica): specificare le esigenze terapeutiche particolari che giustificano il ricorso alla prescrizione magistrale. In pratica, il medico deve indicare il motivo per cui ritiene necessaria la cannabis, ad esempio “trattamento del dolore cronico neuropatico refrattario a terapie convenzionali” oppure “mancanza di alternativa terapeutica industriale efficace”. Questa dicitura, richiesta dalla Legge 94/98, documenta la ragione clinica alla base della scelta.
- Età e sesso del paziente: riportare l’età (in anni) e il sesso del paziente. Questi dati, inseriti in forma anonima accanto al codice, servono per fini statistici ed epidemiologici (come vedremo, vanno comunicati agli enti di monitoraggio).
- Data, timbro e firma del medico: indicare la data di redazione della ricetta, apporre il timbro (o utilizzare carta intestata) con i dati del medico e la firma autografa. Senza questi elementi la ricetta non ha validità legale. È opportuno che la data sia ben visibile, poiché da essa decorre il periodo di validità della ricetta.
Necessità del consenso informato del paziente
Un passaggio fondamentale, prima di avviare la terapia, è ottenere il consenso informato scritto dal paziente. La Legge 94/98 richiede espressamente che il medico acquisisca e documenti il consenso informato del paziente alla terapia con cannabis, trattandosi di un impiego off-label di una preparazione magistrale. Ciò implica che il paziente deve essere informato in modo chiaro sugli scopi del trattamento, sui possibili benefici e rischi, sugli effetti collaterali noti, sulle alternative terapeutiche e sul fatto che la cannabis è una sostanza controllata. Il paziente, compreso il tutto, firma il modulo di consenso informato, che verrà conservato dal medico.
È importante sottolineare che non bisogna indicare nulla riguardo al consenso informato sulla ricetta medica stessa. Inserire in ricetta dettagli come nome e cognome del paziente (che comparirebbero nel modulo di consenso) violerebbe la privacy e vanificherebbe l’uso del codice anonimo. In pratica, il consenso informato resta agli atti clinici del medico, mentre la ricetta rimane “anonimizzata” per tutela della riservatezza. Assicurarsi di avere il consenso informato firmato è un obbligo deontologico e legale, ma anche una garanzia per il medico prescrittore.
Scheda per la raccolta dati (monitoraggio regionale e nazionale)
Oltre alla ricetta, la normativa prevede un meccanismo di monitoraggio delle prescrizioni di cannabis terapeutica a fini epidemiologici. Per ogni prescrizione effettuata, il medico deve compilare una “scheda raccolta dati” relativa al paziente trattato e alla terapia, da inviare alle autorità sanitarie (tipicamente alla Regione di competenza o agli organi centrali). In questa scheda – predisposta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nell’ambito di un Progetto Pilota nazionale – vengono riportati in forma anonima i dati essenziali: il codice alfanumerico del paziente, l’età, il sesso, la varietà di cannabis utilizzata, la posologia in termini di peso, la durata del trattamento, l’indicazione terapeutica (esigenza di trattamento) e l’andamento della terapia (es. miglioramento, effetti indesiderati).
Il medico prescrittore è tenuto a trasmettere periodicamente queste schede secondo le indicazioni fornite. Lo scopo di questa raccolta dati è duplice: statistico-epidemiologico e di sorveglianza sull’uso terapeutico della cannabis. I dati anonimi contribuiscono a orientare le politiche sanitarie (ad esempio stimare il fabbisogno nazionale di cannabis da produrre/importare) e a verificare l’appropriatezza prescrittiva. Va ricordato, infine, che è raccomandato segnalare eventuali reazioni avverse riscontrate durante la terapia a base di cannabinoidi attraverso il portale dedicato Vigierbe dell’ISS, così da contribuire alla farmacovigilanza sulle preparazioni di origine vegetale.
Limiti di validità temporale della ricetta
La ricetta bianca non ripetibile per la cannabis ha una validità temporale limitata. In base alle normative sui medicinali stupefacenti, la ricetta deve essere utilizzata entro 30 giorni dalla data di compilazione. Oltre tale limite, la prescrizione non può più essere eseguita dal farmacista e ne va emessa una nuova. È quindi fondamentale che il paziente presenti la ricetta in farmacia in tempo utile (entro 30 giorni) per poter ottenere il medicinale.
Riguardo alla durata della terapia coperta da ogni ricetta, generalmente una singola prescrizione di cannabis è riferita a un fabbisogno terapeutico di circa 30 giorni (1 mese). Molte Regioni, per le prescrizioni in regime SSR, impongono formalmente il limite di 30 giorni di terapia per ricetta. In ambito privato a pagamento, la legge nazionale non fissa un limite quantitativo o temporale tassativo per la terapia prescrivibile; spetta al medico stabilire la quantità necessaria in base al caso clinico. Tuttavia, per motivi pratici e di monitoraggio, nella stragrande maggioranza dei casi la prescrizione viene fatta per un mese di trattamento, rinnovabile successivamente con controlli periodici. Questo consente di valutare l’andamento del paziente e aggiustare la terapia se necessario, prima di proseguire con ulteriori prescrizioni.
Dubbi e problemi ricorrenti nella compilazione della ricetta
Nonostante le regole siano state delineate, molti medici ancora incontrano difficoltà pratiche o incertezze nella compilazione della ricetta per cannabis terapeutica. Alcuni dubbi ricorrenti segnalati dai medici riguardano:
- Procedure non familiari. La prescrizione di cannabis in forma magistrale non rientra nella pratica quotidiana di molti medici e differisce dalla classica prescrizione di farmaci industriali. Spesso manca un training specifico su “come si compila” esattamente una ricetta di questo tipo, poiché nei corsi di studi e nella formazione continua la cannabis medica è stata finora poco trattata. Questa carenza di formazione dedicata fa sì che i clinici abbiano incertezze sui formalismi da seguire. Per esempio, alcuni non sanno dell’obbligo di omettere le generalità del paziente usando un codice, o non sono sicuri su come indicare posologia e motivazione sulla ricetta.
- Reticenze e pregiudizi. A distanza di anni dalla legalizzazione dell’uso medico, permane in parte della classe medica uno stigma verso la cannabis. Ci sono ancora medici che evitano di prescriverla o la considerano un’ultima risorsa, a volte per scarsa conoscenza aggiornata delle evidenze scientifiche, altre volte per preconcetti personali (la vedono principalmente come “droga d’abuso” e non come farmaco). Questo atteggiamento porta alcuni colleghi a rifiutarsi di prescrivere cannabis anche quando indicata, oppure a non approfondirne l’uso. Tali resistenze culturali rappresentano un ostacolo per i pazienti che potrebbero beneficiarne e generano incertezza in altri medici interessati, che magari temono ripercussioni legali o deontologiche nel prescriverla.
- Aspetti burocratici e organizzativi. Alcuni medici segnalano dubbi sulla reperibilità dei moduli e sulla procedura di monitoraggio. Altri possono chiedersi se sia necessario redigere anche un Piano Terapeutico formale (obbligatorio solo per la rimborsabilità SSR in alcune Regioni, non per la prescrizione privata a pagamento). Ci si interroga anche su quanto prescrivere per volta: pur non esistendo un limite di legge alla quantità, il medico prudentemente può confrontarsi col farmacista per capire le forniture disponibili e calibrare la durata della terapia fino al successivo controllo. Infine, un dubbio frequente riguarda quali farmacie sono abilitate a preparare cannabis: il medico deve informare il paziente che non tutte le farmacie possono allestirla, ma solo quelle dotate di laboratorio galenico autorizzato alla preparazione di stupefacenti (in Italia ce ne sono alcune centinaia) Conoscere farmacie di riferimento sul territorio diventa utile nella pratica ed è per questo che CLINN ha creato una rete di farmacie partner per agevolare il processo di approvvigionamento.
Di fronte a queste difficoltà, non bisogna scoraggiarsi: la legge tutela il medico che prescrive cannabis nel rispetto delle norme, e sempre più risorse formative sono oggi disponibili. Un esempio è la nostra piattaforma di formazione Academy+, offre una ricca fonte di risorse informative per l'apprendimento e per supportare i medici nell'affrontare le sfide legate alla terapia con cannabinoidi.