La cannabis terapeutica è una delle frontiere più interessanti della medicina contemporanea. Tuttavia, affinché i preparati a base di cannabinoidi siano davvero efficaci e riproducibili nel tempo, non basta limitarsi all’estrazione dalla pianta: serve un processo industriale controllato, capace di garantire purezza, standardizzazione e stabilità del prodotto finale. Le nuove metodiche di estrazione e purificazione adottate rappresentano un salto di qualità per tutto il settore.
Dall’estrazione alla purificazione: un processo controllato
La produzione di oli full-spectrum di grado farmaceutico richiede una catena produttiva conforme agli standard GMP (Good Manufacturing Practice). Il processo descritto da Costa et al. combina due fasi cruciali:
- Estrazione in etanolo “deep-cooled” (a −30/−60 °C), che consente di preservare i composti termolabili della pianta e ridurre la co-estrazione di sostanze indesiderate.
- Purificazione finale con wiped-film sotto alto vuoto (≤0,2 mbar), una tecnica che separa selettivamente i cannabinoidi e i terpeni da clorofilla, cere e polifenoli, riducendo le impurità indesiderate sia da un punto di vista organolettico che della conservazione del prodotto.
Questo sistema permette di mantenere il fitocomplesso della pianta, concentrando solo i principi attivi desiderati e minimizzandone la degradazione termica grazie a tempi di residenza brevissimi.
Purezza, stabilità e riproducibilità
Rispetto alla materia prima vegetale, l’estratto così ottenuto mostra una maggiore concentrazione di cannabinoidi e terpeni, mentre clorofilla e cere vengono ridotte a tracce. Il risultato è un olio più stabile, con un profilo sensoriale delicato e gradevole, migliorando così la compliance del paziente.
Un altro elemento chiave è la gestione dei terpeni: vengono rimossi prima del trattamento termico e successivamente reintrodotti in modo controllato, così da ripristinare un’impronta aromatica “nature-identical”, ossia coerente con la pianta di partenza.
Perché l’industrializzazione è un vantaggio clinico
L’aspetto più rilevante di questo approccio è, per l’appunto, la standardizzazione. Grazie a processi ripetibili e dotazioni tecnologiche che permettono un alto grado di controllo sui parametri produttivi, ogni lotto di prodotto mantiene lo stesso “fingerprint” fitochimico. In altre parole, si blocca la variabile prodotto, garantendo ai medici e ai pazienti un dosaggio stabile, una risposta terapeutica prevedibile e una migliore accettabilità sensoriale.
Per la ricerca clinica, ciò significa poter confrontare i risultati in modo affidabile, aprendo la strada a studi più solidi e a una reale personalizzazione delle terapie.
Articolo a cura di Giovanni Isoldi, COO di Materia Medica Processing

